In un contesto in cui i consumatori hanno imparato ad ignorare i formati pubblicitari tradizionali, il puro messaggio d’acquisto ormai non funziona più. Come riuscire allora a catturare l’attenzione del consumatore senza disturbare la sua fruizione dei media? Il native advertising sembra essere l’unica soluzione.
Innanzitutto cos’è davvero il native advertising?
Il native advertising è l’utilizzo di pubblicità a pagamento che sfrutta il formato, il tono di voce e la funzione dei media in cui verrà collocato. Articoli, infografiche, video, sono solo alcuni esempi, poiché tutto ciò che può essere promosso può automaticamente diventare native advertising.
Ciò che caratterizza questa ‘pubblicità non pubblicità’ è il mimetizzarsi nel flusso editoriale della pagina, esponendosi ai consumatori senza disturbarli nella lettura, anzi sarà il lettore a scegliere di fruirla senza alcuna imposizione come invece avviene nella pubblicità tradizionale. Il native advertising dovrà solo fornire il tipo di informazioni che il pubblico si aspetta in quel determinato contesto.
Sono proprio queste qualità a rendere questo tipo di pubblicità così difficile da individuare all’interno dei media, in quanto spesso si fonde con il contenuto ‘organico’.
Naturalmente non è tutto oro ciò che luccica. Il native advertising ha dimostrato di avere enormi potenzialità anche se una strategia sbagliata potrebbe distruggere la fiducia che i consumatori hanno nel marchio. Se nel contenuto, ad esempio, sarà troppo evidente l’ombra del brand che lo ha sponsorizzato, il fruitore potrebbe sentirsi raggirato.
Per capire meglio cos’è davvero il native advertising ecco alcune case history vincenti.
Netflix e il New York Times
In occasione dell’uscita dell’ultima stagione del telefilm Orange is the new black, la piattaforma Netflix ha collaborato con il New York Times nella stesura di un articolo sulle donne carcerate. Lo stile proposto è stato quello tipico del magazine a stelle e strisce con interviste, statistiche e storie di donne uscite dal carcere.
L’articolo è chiaramente pertinente all’argomento trattato in Orange è il New Black, l’obiettivo di Netflix è stato infatti non solo quello di intrattenere i lettori, ma di aumentare la consapevolezza degli spettatori sulle dinamiche dello show, preoccuparsi anche dei problemi del sistema carcerario americano, cercando di capire come migliorare le cose.
Ciò rende questa native advertising di successo è l’essere stato sia intelligente che emotivamente risonante.
Buzzfeed e Purina
Buzzfeed è probabilmente il brand che meglio di tutti ha saputo trasformare il branded content in un modello di business. Un esempio su tutti è il video creato in collaborazione con Purina, azienda di cibo per gatti.
In “Una guida per gatti per la cura del proprio umano”, lo spettatore rivive la prospettiva del gatto, che con le sue piccole azioni aiuta la giovane padrona nelle scelte di tutti i giorni.
Seppur nel video non viene espressamente menzionato il nome del prodotto, questo risulta divertente e soprattutto non autoreferenziale. Caratteristiche che lo hanno reso da subito virale, riuscendo a raggiungere più di 11 milioni di visualizzazioni!
Ikea e The Telegraph
Ciò che rende il native advertising uno strumento di marketing così potente è il suo non avere confini, come nel caso di Ikea che ne ha sfruttato al massimo le potenzialità trasformandolo addirittura in un quiz.
L’idea è tanto semplice quanto geniale. In collaborazione con il The Telegraph, la nota catena svedese ha creato un quiz estremamente divertente in cui, grazie alle risposte dei partecipanti, fornisce dei suggerimenti su come ottenere il ‘sonno perfetto’.
Una scelta vincente, poiché questa campagna si allontana dalla vendita di un prodotto specifico puntando a rafforzare l’associazione del brand Ikea a qualcosa di stravagante ma accessibile.
Tre esempi d’impatto che hanno aiutato a rendere il native advertising la nuova frontiera del marketing di successo.
A voi, quale ha coinvolto di più?